LA STORIA

60

Anni

Una storia di successi

Il marchio Autohianchi vede la luce l’11 gennaio 1955, per una brillante idea del direttore generale della Bianchi, Ferruccio Quintavalle, di coinvolgere Fiat e Pirelli in un’operazione commerciale che avrebbe dato vita, con i capitali dei tre soci paritetici, ad una nuova produzione automobilistica . La Pirelli allargava così il suo mercato nella fornitura dei propri pneumatici, la Fiat coglieva l’occasione per fabbricare un modello ausiliario ai propri, ma per clienti animati da voglia di distinzione e anche per garantirsi un banco di sperimentazione per soluzioni alternative, senza avere ricadute negative sul proprio marchio, mentre la Bianchi, dividendo con gli altri partner uno sforzo economico che da sola non poteva sostenere, rientrava nel mercato automobilistico dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Il capitale iniziale era di tre milioni di lire e l’accordo societario venne stipulato nello studio notarile del dottor Guasti.

Il primo presidente della neonata società fu il commendatore Giuseppe Bianchi; l’ingegnere Ferruccio Quintavalle consigliere delegato; consiglieri Luigi Gayal de la Chenaye per la Fiat, Franco Brambilla e Corrado Ciuti per la Pirelli ed Emanuele Dubini.

Provvisoriamente la società ebbe sede legale a Milano, in Viale Abruzzi n° 16; in seguito, nel mese di maggio, venne trasferita in Piazza Duca d’Aosta n°4. Nel giugno di quell’anno il capitale fu portato ad un miliardo e ottocento milioni.

La fabbrica sarebbe rimasta a Desio, dove la Bianchi aveva già una struttura idonea di 140.000 metri quadri. Gli stabilimenti, dopo essere stati migliorati e innovati, anche con un sistema pienamente automatizzato di cabine di verniciatura di estrema modernità per l’epoca, sarebbero entrati in produzione con 200 vetture al giorno.

L’Autobianchi, comunque, acquisì formalmente la proprietà dell’industria solo nel 1958, quando l’azienda che fu di Edoardo Bianchi cedette le proprie azioni agli altri due soci e Giuseppe Bianchi si dimise dalla carica di presidente; questa fu assunta da Ferruccio Quintavalle il 28 giugno 1958, mentre l’ingegner Vallecchi divenne direttore generale.

Intanto, nel marzo 1958 il capitale venne elevato a sei miliardi, mentre nel 1959 fu portato a tre miliardi con un’operazione di tipo strumentale per essere riaumentato a sei miliardi e mezzo nel settembre dello stesso anno.

La prima automobile nata da questo connubio derivò dall’assemblaggio di una carrozzeria originale (sotto la supervisione dell’ingegner Luigi Rapi, responsabile del reparto carrozzerie speciali della FIAT) e di una base meccanica di un altro modello prodotto dalla casa torinese, ossia la FIAT 500, il cui gruppo motore – cambio – differenziale era stato progettato da Dante Giacosa. Il motore, posto dietro l’abitacolo, era costituito da due cilindri in linea, di 15 CV.
A questa nuova vettura, contraddistinta con la sigla 110 B, venne imposto il nome di Bianchina, in ricordo della prima auto progettata da Edoardo Bianchi.
Fu ufficialmente presentata il 16 settembre 1957 al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.
In quell’occasione, assieme a Gianni Agnelli, fecero da padrini Vittorio Valletta, Alberto Pirelli e Giuseppe Bianchi. Si trattava di una berlina convertibile, cioè con tetto apribile, esteticamente più curata rispetto alla cugina “500” e pertanto rivolta ad un pubblico più esigente: carrozzeria bicolore, cromature nelle fiancate e sottoporta, così come cromate erano le coppe delle ruote. Gomme Pirelli a fascia bianca e sbrinatore montati di serie. Prezzo di listino 565.000 lire.

La caratteristica di unire una carrozzeria curata ad un motore affidabile di grande serie era stata anticipata in ambito Bianchi con l’autocarro Visconteo, originariamente prodotto dalla Cabi Cattaneo, azienda meccanica milanese la quale aveva poi ceduto il suo brevetto alla Bianchi per la produzione in serie.

Siffatto autocarro, leggero, potente ed economico – come lo descrivevano i manifesti pubblicitari dell’epoca – era stato l’ultimo automezzo prodotto dalla Bianchi ed il primo a recare il marchio Autobianchi. Infatti ricordiamo che dal ’56 le attività automobilistiche erano state scorporate dalla Fabbrica Automobili e Velocipedi Edoardo Bianchi, per confluire nell’Autobianchi e questo camion continuò ad essere prodotto, recando il nuovo marchio sullo sportello del tappo del radiatore, ove la scritta Autobianchi originariamente indicata per esteso a caratteri divisi, tutti maiuscoli, era stata poi sostituita dal caratteristico logo AB con scudo e compasso.

Nel 1958, primo anno di distribuzione, vennero prodotte ben 11.000 Bianchine. Tale successo avrebbe portato in seguito ad una diversificazione dei modelli, facendo nascere negli anni immediatamente successivi la Trasformabile Special, la Cabriolet, la Panoramica, la Berlina 4 posti normale e Special e la versione Furgoncino.
La Trasformabile Special si caratterizzava, rispetto al primo modello, per il motore 500 Sport potenziato a 21 CV, con velocità massima di oltre 105 km/h contro gli 85 km/k della prima, presentando una carrozzeria invariabilmente rosso vivo con tetto grigio chiaro .
La Cabriolet, nata nell’aprile 1960, era una raffinata versione scoperta, più costosa del modello originario.

La Panoramica, nata due mesi dopo, costituiva la prima versione familiare caratterizzata dal nuovo disegno del posteriore, con il portellone incernierato in alto ed il tetto raccordato a lunotto per permettere il massimo sfruttamento interno.
Infine la Berlina 4 posti normale e special, in produzione dal 1962, rispondeva all’esigenza di consentire la comoda fruibilità del mezzo ad una famiglia tipo di quattro persone.
Per il trasporto commerciale di ogni genere, in ambito soprattutto cittadino, viene prodotta la versione furgonata, che dapprima ricalca la linea della Panoramica con la sola sostituzione della lamiera al posto dei vetri posteriori e successivamente vede il rialzamento del tetto per aumentarne la capienza.

La vocazione sperimentale dell’Autobianchi trovò una particolare espressione nel giugno 1963 con l’entrata in produzione dello Spider Stellina, già presentata in anteprima al Salone di Torino di quell’anno. Ideata dall’ingegner Rapi, la Stellina era la prima vettura italiana di serie con la carrozzeria in resina poliestere e tessuto di vetro, un insieme che offriva caratteristiche meccaniche e fisiche di notevole interesse tecnico e commerciale per l’industria automobilistica. Le peculiarità essenziali di questa nuova combinazione erano in particolare l’elevata resistenza a trazione, compressione, flessione e soprattutto all’urto, l’estrema leggerezza, la capacita di smorzare le vibrazioni e la conseguente silenziosità, la resistenza agli agenti chimici ed ai processi di corrosione, i bassi livelli di conducibilità termica ed elettrica.

Nel processo di lavorazione si passava direttamente dalla formatura alla successiva verniciatura, eliminando la quasi totalità dei processi di finitura, anche se l’esecuzione manuale di tale metodo di produzione lo rendeva allora più lungo e costoso.

La vettura presentava un motore posteriore a 4 cilindri, raffreddato ad acqua, dalla cilindrata di 767 cc., avente una potenza massima di 29 CV, un cambio a 4 marce più retromarcia, freni a tamburo sulle quattro ruote e sospensioni a ruote indipendenti. Raggiungeva una velocità massima di 115 km/h e costava 993 mila lire.
Gli scarsi riscontri ottenuti sul mercato furono dovuti probabilmente all’adozione del motore della 600 D, troppo esiguo per le prestazioni attese da uno spider.
Nel frattempo le vicende della società evolvevano rapidamente. Completato il grattacielo a Milano, la sede venne trasferita in Via Fabio Filzi il 28 aprile 1960.

Intanto nel 1964 l’ingegnere Giovanni Nasi assumeva la presidenza, rafforzando la presenza della FIAT nella struttura societaria. Era l’anno di presentazione al Salone dell’Automobile di Torino della Primula, vettura media, spiccatamente funzionale, che adottava il motore della FIAT 1100 D sistemato in posizione trasversale ed il cambio di velocità in linea. Questa vettura inaugurava la serie delle trazioni anteriori studiate dalla FIAT, secondo il progetto di Dante Giacosa, ma nello stesso tempo costituiva forse la prima autentica Autobianchi, in quanto la meccanica (ad eccezione del motore) era totalmente nuova e non adottata da altre vetture. Fu prodotta fino al 1969. Nel 1965 sarebbe uscito pure il modello coupè, prodotto fino al 1970 con lievi modifiche alla carrozzeria.

La primula può essere considerata una pietra miliare nella sperimentazione FIAT, anche per la forma, in quanto il suo volume configura il cosiddetto “fast back”, ossia il portellone posteriore inclinato, funzionale e molto capiente, antesignano di quello della FIAT 127.

Il suo motore (tratto, come detto, dalla 1100 D) era azionato da quattro cilindri di 1221 cc. con una potenza di 57 CV che consentivano una velocità massima di 135 km/h. Per la prima volta in una vettura di progettazione FIAT lo sterzo era a cremagliera.
L’automobile, scherzosamente battezzata “la Biancona”, costava in origine 1 milione e 50 mila lire. La gamma dei modelli era a 2, 3, 4 e 5 porte.

La gestazione della Primula, per l’importanza storica delle novità che presentava, merita un particolare approfondimento. Si arriva a questa vettura partendo dall’idea di realizzare un’auto a trazione anteriore, come precedentemente aveva già fatto la Morris nel 1959 con la Mini e con motore disposto trasversalmente. Nelle intenzioni del progettista, ingegner Giacosa, c’era la necessità di ottenere una meccanica molto semplice, la cui produzione non richiedesse attrezzature di fabbrica onerose. I primi abbozzi sono datati 1961. Nel 1962 furono eseguiti i disegni del motore 1200 della 103 modificato per essere disposto trasversalmente e battezzato 103 G1. Ai disegni dell’auto fu data la sigla 109.

Mentre procedeva da parte del Giacosa l’elaborazione del progetto meccanico 109, le Officine Boano a Torino stavano elaborando a loro volta un nuovo modello di carrozzeria per il coupè della 1100 D, prodotta dalla FIAT. Durante le frequenti visite al capannone dei Boano, l’ingegner Giacosa trovò questo modello innovativo, assai funzionale e adatto alla nuova autovettura che stava progettando. Così il coupè fu progressivamente trasformato in una berlina 4 posti, con porta posteriore, che andò a costituire la carrozzeria della 109. C’era da superare un’ultima difficoltà relativa all’autotelaio, implicata dalla necessità di sistemare trasversalmente tra le ruote anteriori il propulsore composto dal motore, la frizione e il cambio, in quanto il propulsore, sebbene più ridotto rispetto a quelli tradizionali dell’epoca, non trovava spazio tra le ruote anteriori completamente sterzate, essendo la vettura piuttosto stretta di carreggiata. Il rimedio fu escogitato dal gruppo dei disegnatori diretti dall’ingegner Cordiano, che riuscirono ad eliminare alcune parti del propulsore, ossia il cuscinetto di spinta e la leva comunemente usata per il distacco, ideando un nuovo modo di comandare la frizione per mezzo di una trasmissione idraulica ed un’asticella infilata nell’albero primario del cambio. Questa soluzione, per i motori a 4 cilindri, è oggi adottata da tutte le grandi case automobilistiche per i modelli di maggior diffusione.

La prima vettura sperimentale presentava una carrozzeria disegnata a Torino, ma costruita a Desio presso gli stabilimenti dell’Autobianchi sotto la direzione dell’ingegner Rapi, mentre le parti meccaniche uscivano dall’officina Costruzioni Sperimentali di Mirafiori. Le prime esperienze, iniziate sulla pista della Mandria il 10 novembre 1963, fornirono l’occasione per introdurre un’ulteriore novità (a sua volta riprodotta o imitata più tardi dalle ditte concorrenti) riguardante i freni, al cui circuito idraulico venne applicato un dispositivo semplice ed ingegnoso, in guisa da ridurre gli inconvenienti dello sforzo frenante.

La definitiva messa a punto era la necessaria premessa per convincere i grandi responsabili della FIAT, inclini alla prudenza, dell’opportunità di iniziare con la 109 la produzione in serie di una vettura a trazione anteriore. Alla fine gli sforzi in tal senso dell’ingegner Giacosa, appoggiato dall’ingegner Luigi Zandonà capo del Dipartimento Esperienze e dall’ingegner Vallecchi direttore dell’Autobianchi, prevalsero sulle resistenze dei vertici FIAT, i quali tuttavia disposero che l’esperienza della produzione della 109 fosse fatta dall’Autobianchi.

Il nome di Primula, primaverile ed augurale, fu ideato dall’ingegner Vallecchi e la vettura fu presentata al pubblico pochi mesi dopo l’uscita della FIAT 850.